martedì 2 agosto 2011

C'è la crisi. Ma ci sono le barche!


Sin da piccolo, trascorro le mie vacanze nella Valle d’Agrò. Negli stessi paesi e nello stesso mare in cui il poeta Quasimodo, passava le sue vacanze estive nella casa dei nonni.
Un tempo le spiagge erano piene di famiglie. Era la fine degli anni ottanta, erano i primi anni novanta. Erano gli anni del boom delle seconde case. E i cortili dei complessi residenziali estivi si riempivano di orde di bambini gioiosi, che giocavano in gruppo. Palle, nascondini, biciclette, gavettoni.
Oggi le spiagge sono vuote, i cortili non ospitano le ludiche evoluzioni di bambini vivaci, e le autostrade sono vuote, perché le famiglie italiane hanno difficoltà a trovare i soldi per pagare la benzina per andare al mare.
C’è la crisi!
Eppure ho visto passare più barche in questi giorni, che in tutti gli anni precedenti messi insieme.
Un tempo vedere uno yacht passare all’orizzonte era un evento. Adesso se ne vedono di continuo. Ed alcuni sono davvero imbarazzanti. Sono tanto grandi da fare invidia a quelle barche che si noleggiano alla modica cifra di 400mila euro alla settimana, già oggetto qualche anno fa dei celebri manifesti realizzati dal partito della Rifondazione Comunista che avevano per titolo: Anche i Ricchi Piangano.
Immagino che molte di queste barchette, il cui costo di un giorno di navigazione corrisponde allo stipendio di dieci anni di un operaio, appartengano a quei Manager, super pagati non per portare risultati, ma per chiedere i contributi statali per mettere in cassa integrazione i dipendenti… Ma questo è un altro discorso…
Poiché nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma. Il denaro non si è perso, si è semplicemente trasformato, spostato, delocalizzato. La ricchezza si è spostata. E questa crisi è frutto di una cattiva distribuzione della ricchezza che si è mossa dalle tasche di molti a quelle di pochi.
Non sono un bolscevico. Ma credo che il fine di una società non possa essere il lusso sfrenato per pochissimi, in luogo dei sacrifici e delle rinunce di molti.
Una società, degna di questo nome, dovrebbe essere costituita da un insieme di individui che collaborano tra di loro, con spirito cooperativo, traendone reciproco giovamento. Ma se i vantaggi devono essere ristretti ad una piccola cerchia a discapito di una intera collettività… Allora la società non ha ragione di essere. E rischia di crollare, di non reggere!
Non bisogna essere dei grandi sociologi per capirlo.