venerdì 4 luglio 2014

Il mito della Caverna di Platone e la Teoria Olografica di David Bohm


Abbiamo già scritto della relazione tra i miti di Platone e la Fisica Moderna. Abbiamo analizzato il legame tra il mito di Crono del Politico e l’idea di Jack Sarfatti che il Presente viene dal futuro. Adesso è il momento di scrivere di un altro mito di Platone molto simile a una teoria della fisica moderna: la Teoria Olografica di David Bohm. Stiamo parlando del mito della Caverna. Il mito più famoso, che il grande mistico e filosofo greco scrisse dentro la sua Politeia, meglio conosciuta come Repubblica.

Come ogni mito, la caverna di Platone ha differenti livelli di lettura. Un livello politico (il più rozzo), un livello filosofico, uno ontologico, sicuramente uno esoterico, come molti altri possibili livelli.
Personalmente credo che sia uno dei Miti più completi riguardanti la condizione umana.
Secondo il Mito della Caverna gli esseri umani, nel loro stato di coscienza ordinaria non vedono le cose come esse sono nella loro essenza, ma percepiscono soltanto l’ombra delle cose stesse. E questo è l’elemento più conosciuto e considerato del mito. Ed è anche quello che ci interessa adesso in questo post. Ma c’è un’altra parte nel mito, meno considerata. La parte che parla del fatto che gli uomini siano prigionieri incatenati. Da un punto di vista esoterico è la cosa più interessante ma non è l’obiettivo di questo post…
Ma riflettiamoci su… e soprattutto ricordiamo questo: secondo Platone gli esseri umani non sono liberi, ma in catene! Anche se esiste per loro l’opportunità di diventare liberi. Ma tornando a noi, se analizziamo il modo in cui gli uomini in catene vedono le ombre, noi troviamo elementi interessanti che ci rimandano ad una visione olografica.

Socrate: «Ora», seguitai, «paragona la nostra natura, per quanto concerne l'educazione e la mancanza di educazione, a un caso 
di questo genere. Pensa a uomini chiusi in una specie di caverna sotterranea, che abbia l'ingresso aperto alla luce per 
tutta la lunghezza dell'antro; essi vi stanno fin da bambini incatenati alle gambe e al collo, così da restare immobili e 
guardare solo in avanti, non potendo ruotare il capo per via della catena. Dietro di loro, alta e lontana, brilla la luce di un 
fuoco, e tra il fuoco e i prigionieri corre una strada in salita, lungo la quale immagina che sia stato costruito un muricciolo, 
come i paraventi sopra i quali i burattinai, celati al pubblico, mettono in scena i loro spettacoli».

Se osserviamo con attenzione possiamo sottolineare molti elementi che ci fanno pensare ad un ologramma. Abbiamo uno schermo, abbiamo una luce (il fuoco), abbiamo una sorta di film ( dietro di loro, alta e lontana, brilla la luce di un 
fuoco, e tra il fuoco e i prigionieri corre una strada in salita, lungo la quale immagina che sia stato costruito un muricciolo, 
come i paraventi sopra i quali i burattinai, celati al pubblico, mettono in scena i loro spettacoli).
Se pensiamo che è un mito, scritto in una maniera simbolica, 24 secoli fa, credo che sia il modo più dettagliato possibile per spiegare un ologramma. Nel modo più avanzato possibile, 2500 anni prima che Bohm scrivesse la sua teoria Olografica, questo grande mistico ci comunicò con i mezzi a sua disposizione, la sua propria maniera di vedere questo mondo che ci circonda come l’ombra di un ologramma tridimensionali. E se pensiamo alla distanza tra lo schermo che ospita la proiezione e l’origine della luce, questa metafora sembra molto simile alla moderna teoria della fisica che vede questo mondo come un’immagine tridimensionale proiettata a partire dal nostro orizzonte bidimensionale degli eventi futuri - buco nero - computer olografico (Mente di Dio). Immagine questa molto cara a Jack Sarfatti.
Credo che per oggi sia abbastanza.
E’ tempo di tornare al dialogo tra Socrate e Glaucone. Probabilmente lo avrete già letto, ma in questo caso Repetita Juvant.

«Li vedo», disse. 
«Immagina allora degli uomini che portano lungo questo muricciolo oggetti d'ogni genere sporgenti dal margine, e 
statue e altre immagini in pietra e in legno delle più diverse fogge; alcuni portatori, com'è naturale, parlano, altri 
tacciono». 
«Che strana visione», esclamò, «e che strani prigionieri!». 
«Simili a noi», replicai: «innanzitutto credi che tali uomini abbiano visto di se stessi e dei compagni qualcos'altro che 
le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna di fronte a loro?» «E come potrebbero», rispose, «se sono stati 
costretti per tutta la vita a tenere il capo immobile?» «E per gli oggetti trasportati non è la stessa cosa?» «Sicuro!». 
«Se dunque potessero parlare tra loro, non pensi che prenderebbero per reali le cose che vedono?» «è inevitabile». 
«E se nel carcere ci fosse anche un'eco proveniente dalla parete opposta? Ogni volta che uno dei passanti si mettesse a 
parlare, non credi che essi attribuirebbero quelle parole all'ombra che passa?» «Certo, per Zeus!». 
«Allora», aggiunsi, «per questi uomini la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti». 
«è del tutto inevitabile», disse. 
«Considera dunque», ripresi, «come potrebbero liberarsi e guarire dalle catene e dall'ignoranza, se capitasse loro 
naturalmente un caso come questo: qualora un prigioniero venisse liberato e costretto d'un tratto ad alzarsi, volgere il 
collo, camminare e guardare verso la luce, e nel fare tutto ciò soffrisse e per l'abbaglio fosse incapace di scorgere quelle 
cose di cui prima vedeva le ombre, come credi che reagirebbe se uno gli dicesse che prima vedeva vane apparenze, 
mentre ora vede qualcosa di più vicino alla realtà e di più vero, perché il suo sguardo è rivolto a oggetti più reali, e inoltre, 
mostrandogli ciascuno degli oggetti che passano, lo costringesse con alcune domande a rispondere che cos'è? Non credi 
che si troverebbe in difficoltà e riterrebbe le cose viste prima più vere di quelle che gli vengono mostrate adesso?» «E di 
molto!», esclamò. 
«E se fosse costretto a guardare proprio verso la luce, non gli farebbero male gli occhi e non fuggirebbe, voltandosi 
indietro verso gli oggetti che può vedere e considerandoli realmente più chiari di quelli che gli vengono mostrati?» «è 
così », rispose. 
«E se qualcuno», proseguii, «lo trascinasse a forza da lì su per la salita aspra e ripida e non lo lasciasse prima di averlo 
condotto alla luce del sole, proverebbe dolore e rabbia a essere trascinato, e una volta giunto alla luce, con gli occhi 
accecati dal bagliore, non potrebbe vedere neppure uno degli oggetti che ora chiamiamo veri?» «No, non potrebbe, 
almeno tutto a un tratto», rispose. 
«Se volesse vedere gli oggetti che stanno di sopra avrebbe bisogno di abituarvisi, credo. Innanzitutto discernerebbe 
con la massima facilità le ombre, poi le immagini degli uomini e degli altri oggetti riflesse nell'acqua, infine le cose reali; 
in seguito gli sarebbe più facile osservare di notte i corpi celesti e il cielo, alla luce delle stelle e della luna, che di giorno 
il sole e la luce solare». 
«Come no? » «Per ultimo, credo, potrebbe contemplare il sole, non la sua immagine riflessa nell'acqua o in una 
superficie non propria, ma così com'è nella sua realtà e nella sua sede». 
«Per forza», disse. 
«In seguito potrebbe dedurre che è il sole a regolare le stagioni e gli anni e a governare tutto quanto è nel mondo 
visibile, e he in qualche modo esso è causa di tutto ciò che i prigionieri vedevano». 
«è chiaro», disse, «che dopo quelle esperienze arriverà a queste conclusioni». 
«E allora? Credi che lui, ricordandosi della sua prima dimora, della sapienza di laggiù e dei vecchi compagni di 
prigionia, non si riterrebbe fortunato per il mutamento di condizione e non avrebbe compassione di loro?» «Certamente». 
«E se allora si scambiavano onori, elogi e premi, riservati a chi discernesse più acutamente gli oggetti che passavano e 
si ricordasse meglio quali di loro erano soliti venire per primi, quali per ultimi e quali assieme, e in base a ciò indovinasse 
con la più grande abilità quello che stava per arrivare, ti sembra che egli ne proverebbe desiderio e invidierebbe chi tra 
loro fosse onorato e potente, o si troverebbe nella condizione descritta da Omero e vorrebbe ardentemente "lavorare a 
salario per un altro, pur senza risorse" e patire qualsiasi sofferenza piuttosto che fissarsi in quelle congetture e vivere in 
quel modo?» «Io penso», rispose, «che accetterebbe di patire ogni genere di sofferenze piuttosto che vivere in quel 
modo». 
«E considera anche questo», aggiunsi: «se quell'uomo scendesse di nuovo a sedersi al suo posto, i suoi occhi non 
sarebbero pieni di oscurità, arrivando all'improvviso dal sole?» «Certamente», rispose. 
«E se dovesse di nuovo valutare quelle ombre e gareggiare con i compagni rimasti sempre prigionieri prima che i suoi 
occhi, ancora deboli, si ristabiliscano, e gli occorresse non poco tempo per riacquistare l'abitudine, non farebbe ridere e 
non si direbbe di lui che torna dalla sua ascesa con gli occhi rovinati e che non vale neanche la pena di provare a salire? E 

non ucciderebbero chi tentasse di liberarli e di condurli su, se mai potessero averlo tra le mani e ucciderlo?» «E come!», esclamò.
«Questa similitudine», proseguii, «caro Glaucone, dev'essere interamente applicata a quanto detto prima: il mondo che
ci appare attraverso la vista va paragonato alla dimora del carcere, la luce del fuoco che qui risplende all'azione del sole;
se poi consideri la salita e la contemplazione delle realtà superiori come l'ascesa dell'anima verso il mondo intellegibile
non ti discosterai molto dalla mia opinione, dal momento che desideri conoscerla.
Lo saprà un dio se essa è vera. Questo è dunque il mio parere: l'idea del bene è il limite estremo del mondo
intellegibile e si discerne a fatica, ma quando la si è vista bisogna dedurre che essa è per tutti causa di tutto ciò che è
giusto e bello: nel mondo visibile ha generato la luce e il suo signore, in quello intelligibile essa stessa, da sovrana,
elargisce verità e intelletto, e chi vuole avere una condotta saggia sia in privato sia in pubblico deve contemplare questa
idea».
«Sono d'accordo con te», disse, «nei limiti delle mie facoltà».
«Allora», continuai, «condividi anche questo punto e non meravigliarti che chi è giunto fin qui non voglia occuparsi
delle faccende umane, ma la sua anima tenda sempre a dimorare in alto; ciò è ragionevole, se la similitudine fatta prima è
ancora valida».