venerdì 1 ottobre 2010

Commentario sul Sutra del Cuore Part IV


vide la natura vuota dei cinque aggregati,

Qui stiamo salendo notevolmente di livello perché iniziamo a passare dal linguaggio logico a quello psicologico o simbolico. E per poter andare avanti in maniera dignitosa dobbiamo fare una piccola dissertazione. Esistono tre differenti metodi di conoscenza per indagare la realtà . Il primo metodo di conoscenza è quello logico o razionale. Esso valuta la realtà attraverso rapporti logici o razionali. Sarebbe meglio dire relazionali. Valuta la realtà attraverso relazioni o comparazioni tra due cose, o due ipotesi. È il metodo conoscitivo dell’aut, aut. O questo, o quello. Una cosa è vera, l’altra è falsa. Esiste poi un secondo metodo di conoscenza che è quello psicologico. Attraverso di esso è possibile valutare più ipotesi contemporaneamente, e fra di esse non per forza una deve essere giusta e le altre sbagliate. Ma esse possono essere tutte contemporaneamente giuste, o tutte contemporaneamente sbagliate. O alcune giuste ed alcune sbagliate. Per comprendere meglio cosa sia la conoscenza di tipo psicologico ci viene in aiuto la storia indiana dell’elefante che ne è perfetto esempio.

Un elefante fu chiuso all’interno di una stanza buia, in cui non filtrava alcuna luce. Così venne chiesto ad alcuni uomini che non avevano mai visto un elefante di descriverlo. Il primo entrando nella stanza, toccò la sua gamba. Una volta uscito concluse che l’elefante era simile ad una colonna. Il secondo palpò il suo corpo ed una volta uscito andò dicendo che l’elefante era simile ad un muro. Il terzo esaminò una zanna con le proprie mani e concluse che l’elefante era simile ad un corno. Il quarto tastò la proboscide e disse che l’elefante era simile ad un grosso tubo…

Chi aveva ragione?

Chi torto?

Secondo il metodo psicologico la realtà non è unica ma molteplice, ognuno degli uomini osservava un frammento di realtà. Nessuno aveva torto, ma nessuno aveva pienamente ragione in quanto ne osservava un aspetto reale, ma parziale.

Il terzo metodo conoscitivo è il metodo sciamanico. È un metodo diretto di conoscenza. È una percezione diretta della realtà. Che trascende completamente la logica. È il metodo di conoscenza proprio dei Buddha. Lo troveremo in seguito. È il metodo sciamanico che farà affermare ad Avalokita che il Vuoto è Forma e la Forma è Vuoto. Duemila anni prima che Einstein arrivasse alle stesse conclusioni.

Senza che disponesse di mezzi scientifici, senza telescopi o microscopi a scansione, chi compose il Sutra del Cuore riuscì a penetrare nei meandri della materia con la saggezza degna di un fisico quantistico.

Ma torniamo al verso in questione

vide la natura vuota dei cinque aggregati,

Che sono i cinque aggregati?

Se l’identità personale è una realtà illusoria, che cosa costituisce questa apparente identità personale?

I cinque Skandha. Ovvero i cinque aggregati che compongono la personalità: Rupa, Vedana, Sanna, Sankhara, Vinnana. Belle parole starete pensando. Hanno un suono così esotico. Dicendo in questo modo si capisce davvero poco. Ma forse così si capisce qualcosa in più.

Rupa, o forma. È il corpo di per sé.

La carrozza che ci trasporta in giro per questo mondo apparentemente materiale. Può essere inteso come vedremo più tardi anche nell’accezione di materia.

Vedana, o sensazioni. Sono gli effetti prodotti dai sensi.

Ma stiamo attenti a non confondere le sensazioni con le emozioni. Le sensazioni sono neutre. Prendendo come esempio l’organo visivo: Il blu in quanto blu, il giallo in quanto giallo sono sensazioni. Le percezioni positive o negative che suscitano in noi la visione di tali colori sono le emozioni. Perché le emozioni non sono mai neutre, suscitano sempre un sentimento positivo o negativo.

La visione del blu in quanto colore è una sensazione. Il fatto che il blu ti piaccia o non ti piaccia è una emozione.

Sanna, o percezioni (emozioni). Rappresentano la concettualizzazione delle sensazioni, il processo attraverso cui la mente le identifica e si forma giudizi su di esse. Questo mi piace, questo non mi piace.

Il fatto che il blu ti piaccia, o non ti piaccia è Sanna. La percezione, o l’ emozione, che suscita in te.

Ci sarebbe molto da dire su questo punto. Capita spesso, infatti, che ci siano delle cose che a una parte di noi piacciono e ad un’altra non piacciono. Il che è un’ulteriore riprova della tesi centrale del Sutra, la nostra disunità interiore.

Sankhara o formazioni Karmiche: sono quella serie di reazioni inconsapevoli, riflessi automatici, abitudini e complessi mentali che derivano dal nostro Karma.

Sono le nostre attitudini. I nostri atteggiamenti. Le nostre espressioni. I nostri modi di fare.

Il modo in cui mi guardi o quello in cui ti leghi i capelli…

Direbbe un innamorato alla sua amata.

Vinnana o coscienza: è ciò attraverso cui facciamo esperienza del mondo e conosciamo i fenomeni.

L’ignoranza, o avydia, che è lo stato in cui viviamo noi uomini, ci fa credere di possedere un’unità interiore ed un’identità personale. Questa illusione è perpetrata dall’identificazione con i cinque skandha, con i quali noi esseri umani ci immedesimiamo in maniera contigente.

È interessante notare l’assonanza tra il termine avydia ed i termini invidia ed avidità.

Non è forse il nostro Io avido di sensazioni ed emozioni? Non è forse la nostra vita, una continua, avida ricerca di sensazioni ed emozioni?

Questa trattazione degli Skandha mi sembra un’esauriente lettura sul piano logico razionale del verso

vide la natura vuota dei cinque aggregati,

Nel quale a mio avviso è possibile, andando più in profondità, tentare una lettura sul piano simbolico.

Il vuoto, che è un termine ricorrente nel Sutra, mi fa pensare ai quattro elementi che in realtà sono cinque. Secondo i greci la realtà era costituita da quattro elementi: il fuoco, l’acqua, l’aria, la terra. Derivanti da un unico elemento, che era possibile raggiungere attraverso l’equilibrio dei quattro precedentemente elencati: l’etere. Definito dagli alchimisti come la Quintessenza, dagli yogi come l’Akasha e dagli orientali come: il Vuoto. Appunto.

Comprendo che leggendo la realtà da un punto di vista logico i cinque elementi sembrano assolutamente inadeguati per spiegarla. E può sembrare che i greci, gli alchimisti ed i sapienti orientali fossero dei sempliciotti. Ma passando dal metodo logico a quello simbolico o psicologico, potremmo cambiare la nostra idea. Per far ciò dobbiamo comprendere che gli elementi non sono la stessa cosa dei fenomeni fisici con cui condividono i nomi. E che gli elementi sono derivati attraverso la legge dell’analogia. L’elemento acqua possiede ad esempio qualità analoghe a quelle dell’acqua fisica, ma non è la stessa cosa. Bisogna inoltre tener bene a mente che la teoria degli elementi è un costrutto umano. Un metodo attraverso cui gli uomini hanno tentato di descrivere il funzionamento dell’universo.

Queste costatazioni rendono possibile comprendere come nei versi scritti nel linguaggio simbolico, che è quello preferito dagli illuminati, è possibile ritrovare più piani di lettura differenti in un unico verso.

superando così ogni dolore.

Attraverso l’esperienza del vuoto, ovvero sperimentando la disidentificazione con i 5 Skandha, Avalokita comprende la natura illusoria della realtà e la relativa inconsistenza di ogni dolore. Immaginiamo per un attimo di immedesimarci con Avalokita e di vedere attraverso i suoi occhi l’inconsistenza della realtà. Avalokita osserva l’identificazione degli uomini con i loro sentimenti, le loro credenze, le loro convinzioni. Osserva se stesso e nota come lui si immedesimi in modo contingente ora con il corpo, ora con le sensazioni, ora con le reazioni. Prendendo coscienza di questa identificazione si rende conto che in realtà non è nulla di tutta questo. Lui è altro. Comprendendo ciò supera i suoi attaccamenti e dunque constata l’inconsistenza di ogni dolore.

Il numero cinque è un numero che torna costantemente nel sutra e questi cinque versi ne sono un perfetto riassunto: ne contengono l’essenza. Il resto sarà un ulteriore sviluppo dei temi contenuti in questi primi versi



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